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Il marchio adidas a tre strisce è nullo secondo il Tribunale UE

Con sentenza del 16 giugno 2019 pronunciata nella causa T‑307/17, che ha visto contrapposte la ricorrente adidas AG, sostenuta dall’interveniente Marques, contro l’EUIPO e la controinteressata Shoe Branding Europe BVBA, il Tribunale UE ha confermato la decisione della seconda commissione di ricorso dell’EUIPO del 7 marzo 2017 (procedimento R 1515/2016-2) che aveva accolto la domanda, promossa dalla Shoe Branding Europe, di nullità del “marchio a tre strisce” di adidas.


L'oggetto del contendere

Il 16 dicembre 2014 la Shoe Branding Europe BVBA aveva proposto davanti all'EUIPO domanda principale di nullità, per carenza di capacità distintiva, contro il marchio depositato da adidas il 18 dicembre 2013 avente ad oggetto il segno figurativo «costituito da tre strisce parallele equidistanti di uguale larghezza, applicate sul prodotto in qualsiasi direzione» e registrato per i prodotti in classe 25 «Abbigliamento; scarpe; cappelleria» il 21 maggio 2014 con il numero 12442166.

La cronistoria dell’iter di nullità davanti all'EUIPO

Con propria decisione del 30 giugno 2016, la Divisione di Annullamento EUIPO aveva accolto la domanda di nullità del marchio di adidas costituito da tre strisce parallele equidistanti, ritenendolo privo di qualsiasi carattere distintivo, sia intrinseco, sia acquisito in seguito all’uso.


Il Board of Appeal, davanti al quale aveva proposto ricorso adidas, in data 7 marzo 2017 aveva confermato la decisione di nullità di primo grado, ritenendo la carenza di carattere distintivo intrinseco e, quanto alla distintività acquisita, la carenza di prova per tutta l’Unione europea.


Da notare che in tale appello adidas non aveva contestato l’assenza di carattere distintivo intrinseco del marchio a tre strisce, ma aveva concentrato la propria tesi sull’acquisizione del carattere distintivo in seguito all’uso fatto sul mercato.

Il procedimento davanti al Tribunale UE

Adidas ha quindi promosso ricorso al Tribunale UE contro tale decisione del Board of Appeal, sulla base di un unico motivo consistente sostanzialmente nell’errata valutazione da parte del Board EUIPO delle prove fornite per l’acquisizione del carattere distintivo nel territorio dell’Unione; motivo che però è stato respinto all’esito di un argomentato ragionamento logico-giuridico.

Il ragionamento del Tribunale UE

In primo luogo, il Tribunale ha ricordato che sono esclusi dalla registrazione i marchi privi di carattere distintivo intrinseco e che tale impedimento alla registrazione assoluto trova applicazione anche se esiste solo per una parte dell’Unione.


Tuttavia, se un marchio ha acquisito, per i prodotti rivendicati, un carattere distintivo a seguito dell’uso che ne è stato fatto, allora l’impedimento non ha effetto ed il marchio è considerato valido (secondary meaning).


A tale proposito, il Tribunale ha premesso altresì che, nell’ambito di un procedimento di dichiarazione di nullità del marchio UE, l’acquisizione di carattere distintivo rileva solo se ne viene provata la maturazione prima della sua registrazione o tra la sua registrazione e la data della domanda di nullità [sentenza del 14 dicembre 2017, bet365 Group/EUIPO – Hansen (BET 365), T‑304/16, EU:C:2017:912, punto 23 e giurisprudenza ivi citata].


Il Tribunale ha ricordato inoltre la funzione primaria di indicatore di origine che il marchio deve assolvere, per cui esso deve essere idoneo ad identificare il prodotto rivendicato come proveniente da un’impresa determinata e, dunque, a distinguere tale prodotto da quelli di altre imprese (sentenze del 4 maggio 1999, Windsurfing Chiemsee, C‑108/97 e C‑109/97, EU:C:1999:230, punto 46, e del 18 giugno 2002, Philips, C‑299/99, EU:C:2002:377, punto 35).


Tale carattere distintivo, intrinseco o acquisito in seguito all’uso, deve essere valutato per tutti i prodotti o servizi rivendicati, con riguardo alla percezione che ne ha il pubblico di riferimento (sentenze del 18 giugno 2002, Philips, C‑299/99, EU:C:2002:377, punti 59 e 63, e del 12 febbraio 2004, Koninklijke KPN Nederland, C‑363/99, EU:C:2004:86, punti 34 e 75).


Nel caso di specie, il pubblico di riferimento per i prodotti rivendicati (abbigliamento, scarpe e cappelleria) è stato ritenuto costituito da tutti i potenziali consumatori nell’Unione, sia generali che specializzati.


Quanto all’esclusione degli elementi di prova del secondary meaning, il Tribunale ha statuito una lunga serie di principi che risultano utili, oltre che per il caso in esame, per tutte le fattispecie di prova della distintività acquisita.


Tra le varie considerazioni si possono ricordare le seguenti:

  • l’EUIPO non può tener conto delle caratteristiche del marchio richiesto che non siano indicate nella domanda di registrazione o nei documenti di accompagnamento [v. sentenza del 25 novembre 2015, Jaguar Land Rover/UAMI (Forma di un autoveicolo), T‑629/14, non pubblicata, EU:T:2015:878, punto 34 e giurisprudenza ivi citata];

  • il requisito della rappresentazione grafica ha lo scopo specifico di definire il marchio stesso, al fine di determinare l’oggetto esatto della tutela conferita attraverso il marchio d’impresa registrato al suo titolare (v., per analogia, sentenze del 12 dicembre 2002, Sieckmann, C‑273/00, EU:C:2002:748, punto 48, e del 24 giugno 2004, Heidelberger Bauchemie, C‑49/02, EU:C:2004:384, punto 27); conseguentemente, spetta al richiedente depositare una rappresentazione grafica del marchio che corrisponda proprio all’oggetto della tutela che intende ottenere. Una volta che il marchio è stato registrato, il titolare dello stesso non può richiedere una tutela più ampia di quella conferita da detta rappresentazione grafica [v., in tal senso, sentenza del 30 novembre 2017, Red Bull/EUIPO – Optimum Mark (Combinazione dei colori blu e argento), T‑101/15 e T‑102/15, con impugnazione pendente, EU:T:2017:852, punto 71]. A tale proposito si ricordi peraltro che il requisito della rappresentazione grafica è stato eliminato dal Regolamento 2017/1001 per cui questa valutazione potrebbe anche mutare con riferimento ai marchi depositati in vigore del nuovo RMUE;

  • la domanda di registrazione «può contenere una descrizione del marchio»; pertanto, una volta che una descrizione è presente nella domanda di registrazione, tale descrizione deve essere considerata congiuntamente alla rappresentazione grafica (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 30 novembre 2017, Combinazione dei colori blu e argento, T‑101/15 e T‑102/15, con impugnazione pendente, EU:T:2017:852, punto 79);

  • l’EUIPO deve parimenti esaminare il carattere distintivo del marchio di cui è chiesta la registrazione, alla luce del tipo di marchio scelto dal richiedente nella sua domanda di registrazione (v., in tal senso, ordinanza del 21 gennaio 2016, Enercon/UAMI, C‑170/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:53, punti 29, 30 e 32).

La legge delle varianti autorizzate

Sempre in tema di prova della distintività acquisita, il Tribunale UE ha affrontato anche il tema delle «varianti autorizzate», che secondo adidas costituirebbe quella regola secondo la quale l’uso di un marchio in una forma che si differenzia per taluni elementi che non alterano il carattere distintivo di detto marchio nella forma in cui esso è stato registrato, si dovrebbe considerare alla stregua di un uso di detto marchio.

Il concetto di uso del marchio

A tale proposito il Tribunale ha preliminarmente affrontato il tema correlato al termine «uso» del marchio.


Ha in particolare chiarito che un marchio registrato deve essere considerato come oggetto di un uso effettivo nel momento in cui si fornisce la prova dell’uso di tale marchio anche in una forma leggermente differente da quella della registrazione (sentenza del 13 settembre 2007, Il Ponte Finanziaria/UAMI, C‑234/06 P, EU:C:2007:514, punto 86). Tale norma è diretta a consentire al titolare di detto marchio di apportare a quest’ultimo, in occasione del suo sfruttamento commerciale, le variazioni che, senza modificarne il carattere distintivo, permettono di meglio adattarlo alle esigenze di commercializzazione e di promozione dei prodotti o dei servizi interessati (sentenze del 25 ottobre 2012, Rintisch, C‑553/11, EU:C:2012:671, punto 21, e del 18 luglio 2013, Specsavers International Healthcare e a., C‑252/12, EU:C:2013:497, punto 29).


Per contro, le norme sulla nullità per carenza di capacità distintiva non prevedono esplicitamente l’uso del marchio in una forma che differisce dalla forma con cui tale marchio è stato oggetto di registrazione e, eventualmente, registrato.


Per sanare questo apparente contrasto, il Tribunale chiarisce quindi che il criterio dell’uso non può essere valutato alla luce di elementi diversi a seconda che si tratti di determinare se il criterio stesso sia idoneo a far sorgere diritti concernenti un marchio o ad assicurare il mantenimento di questi ultimi.


Se è possibile acquisire la protezione in quanto marchio per un segno attraverso un certo uso che ne è fatto, la medesima forma d’uso deve poter assicurare il mantenimento di siffatta protezione.


Pertanto, per quanto riguarda le forme d’uso, i requisiti prevalenti quanto alla verifica dell’uso effettivo di un marchio sono analoghi a quelli concernenti l’acquisizione del carattere distintivo di un segno in seguito all’uso ai fini della sua registrazione (sentenza del 18 aprile 2013, Colloseum Holding, C‑12/12, EU:C:2013:253, punti 33 e 34; v., parimenti, in tal senso e per analogia, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Nestlé, C‑353/03, EU:C:2005:61, paragrafo 24).


Ne consegue che le forme d’uso di un marchio, ivi comprese quelle che differiscono solo per «elementi che non alterano il carattere distintivo di [tale] marchio», devono essere prese in considerazione non solo al fine di determinare se tale marchio sia stato oggetto di un uso effettivo ai sensi di tale disposizione, ma anche ai fini di determinare se tale marchio ha acquisito un carattere distintivo in seguito all’uso che ne è stato fatto.

L’applicazione della «legge delle varianti autorizzate» nel caso di specie

Tornando al tema delle varianti, il Tribunale UE ha confermato quanto già ritenuto dalla commissione di ricorso in merito alla qualificazione del marchio controverso come «estremamente semplice», dal momento che tale marchio presentava relativamente poche caratteristiche e consisteva in tre linee nere parallele in una configurazione rettangolare su fondo bianco e Adidas non aveva contestato tale conclusione.


Partendo da questa considerazione, il Tribunale ha quindi statuito che in presenza di un marchio estremamente semplice, anche modifiche minori apportate a detto marchio possono costituire variazioni non trascurabili, di modo che la forma modificata non potrà essere considerata come complessivamente equivalente alla forma registrata di tale marchio.


Più un marchio è semplice, meno è idoneo ad avere un carattere distintivo e più un cambiamento a tale marchio può incidere su una delle sue caratteristiche essenziali e alterare pertanto la percezione di tale marchio da parte del pubblico pertinente (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 13 settembre 2016, Rappresentazione di un poligono, T‑146/15, EU:C:2016:469, punti 33 e 52 e giurisprudenza ivi citata).


Il fatto di invertire lo schema dei colori, mantenendo un netto contrasto tra le tre strisce e il fondo, non può quindi essere qualificato come variazione trascurabile rispetto alla forma registrata del marchio controverso.

I parametri di valutazione della prova della distintività acquisita

Sul tema in oggetto il Tribunale ha ritenuto, secondo costante giurisprudenza, che per valutare l’acquisizione da parte di un marchio del carattere distintivo in seguito all’uso che ne è stato fatto, possono essere prese in considerazione, in particolare, la quota di mercato detenuta dal marchio, l’intensità, l’estensione geografica e la durata dell’uso di tale marchio, l’entità degli investimenti effettuati dall’impresa per promuoverlo, la percentuale degli ambienti interessati che identifica il prodotto o il servizio come proveniente da un’impresa determinata grazie al marchio, nonché le dichiarazioni delle camere di commercio e dell’industria o di altre associazioni professionali (sentenze del 4 maggio 1999, Windsurfing Chiemsee, C‑108/97 e C‑109/97, EU:C:1999:230, punto 51, e del 18 giugno 2002, Philips, C‑299/99, EU:C:2002:377, punto 60).


La quota di mercato detenuta dal marchio, come pure la quota di volume pubblicitario per il mercato dei prodotti di cui trattasi rappresentata dagli investimenti pubblicitari intrapresi per promuovere un marchio, possono dunque essere un’indicazione rilevante al fine di valutare se tale marchio abbia acquisito un carattere distintivo in seguito all’uso (sentenza del 22 giugno 2006, Storck/UAMI, C‑25/05 P, EU:C:2006:422, punti 76 e 77).


Gli elementi menzionati supra devono essere valutati complessivamente (sentenze del 4 maggio 1999, Windsurfing Chiemsee, C‑108/97 e C‑109/97, EU:C:1999:230, punto 49, e del 7 luglio 2005, Nestlé, C‑353/03, EU:C:2005:432, punto 31).


Inoltre, dal momento che il marchio dell’Unione europea ha un carattere unitario e produce gli stessi effetti in tutta l’Unione, per essere ammesso alla registrazione un segno deve avere carattere distintivo, intrinseco o acquisito in seguito all’uso, in tutta l’Unione (sentenza del 25 luglio 2018, Société des produits Nestlé e a./Mondelez UK Holdings & Services, C‑84/17 P, C‑85/17 P e C‑95/17 P, EU:C:2018:596, punto 68).


Ne consegue che, per quanto riguarda un marchio privo di carattere distintivo intrinseco nel complesso degli Stati membri, un siffatto marchio può essere registrato in forza di tale disposizione soltanto se è dimostrato che esso ha acquisito un carattere distintivo in seguito all’uso in tutto il territorio dell’Unione (v., sentenza del 25 luglio 2018, Société des produits Nestlé e a./Mondelez UK Holdings & Services, C‑84/17 P, C‑85/17 P e C‑95/17 P, EU:C:2018:596, punto 76 e giurisprudenza ivi citata).


A tale proposito il Tribunale ricorda comunque un principio calmieratore di questa regola ritenendo che, benché sia vero che l’acquisizione da parte di un marchio di un carattere distintivo in seguito all’uso debba essere dimostrata per la parte dell’Unione in cui esso non aveva un carattere intrinseco, sarebbe tuttavia eccessivo pretendere che la prova di tale acquisizione venga fornita con riferimento a ciascun singolo Stato membro (v. sentenza del 25 luglio 2018, Société des produits Nestlé e a./Mondelez UK Holdings & Services, C‑84/17 P, C‑85/17 P e C‑95/17 P, EU:C:2018:596, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).


Tuttavia, sebbene non sia necessario che la suddetta prova sia fornita per ciascun singolo Stato membro, è però richiesto che le prove fornite consentano di dimostrare una siffatta acquisizione in tutti gli Stati membri dell’Unione (sentenza del 25 luglio 2018, Société des produits Nestlé e a./Mondelez UK Holdings & Services, C‑84/17 P, C‑85/17 P e C‑95/17 P, EU:C:2018:596, punto 83).


Le 12 mila pagine di documentazione fornita da adidas, secondo la motivazione del Tribunale, non sono però riuscite in tale intento probatorio.


L’ultima parola spetterà ora alla Corte di Giustizia, se - come si immagina - adidas vi farà ricorso.


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