Con sentenza 26.06.2014 n. 14552 la Corte di Cassazione si è pronunciata in ordine alla rilevanza ed agli effetti sulla procedura concordataria degli atti fraudolenti di cui all’art. 173 L.F. nell’ipotesi in cui gli stessi siano stati portati a conoscenza del ceto creditorio, che abbia poi ugualmente espresso voto favorevole al concordato.
La questione portata all’attenzione della Corte ha tratto origine dalla sentenza con cui il Tribunale di Primo Grado, dopo aver rigettato la domanda di omologazione del concordato preventivo proposta dalla società Alfa a seguito dell’accertamento da parte del Commissario Giudiziale di atti di frode compiuti dalla stessa, ne dichiarava il fallimento su istanza della società Beta.
In particolare le condotte contestate ad Alfa consistevano:
a) nell’aver distribuito utili per un rilevante importo, allorché si trovava già in situazione finanziaria compromessa;
b) nell’aver definito un contenzioso pendente con la propria committente Gamma mediante una transazione di contenuto pregiudizievole, in quanto era stata riconosciuta alla controparte una somma di denaro, per lavori non eseguiti e come penale per il ritardo, di molto superiore rispetto a quella che le sarebbe spettata;
c) nell’aver omesso di indicare, nella domanda di concordato, l’esistenza di ulteriori crediti vantati da due società, non rilevando che detti crediti fossero contestati e non accertati giudizialmente.
La sentenza era oggetto di reclamo da parte di Alfa, che tuttavia veniva rigettato dall’adita Corte d’Appello, la quale confermava che le condotte sopra descritte integravano atti fraudolenti idonei a determinare la revoca dell’ammissione al concordato preventivo in base al disposto di cui all’art. 173 L.F.
La sentenza d’appello era impugnata da Alfa, la quale poneva a sostegno delle proprie censure la natura contrattuale del concordato preventivo, a suo dire espressione di un accordo riconducibile all’autonomia negoziale e, come tale, insindacabile dal Giudice una volta accertato che l’attuale situazione patrimoniale della debitrice fosse nota ai creditori.
La società Alfa evidenziava che l’approvazione del concordato da parte dei creditori mediante l’espressione di un voto favorevole non può essere sopravanzata da un provvedimento di revoca da parte del Tribunale, neppure in presenza di atti distrattivi del patrimonio sociale commessi dal debitore prima dell’apertura della procedura, allorché i creditori stessi ne abbiano avuto conoscenza – per mezzo della Relazione ex art. 172 L.F. – anteriormente alle operazioni di voto (come avvenuto nel caso di specie).
In altri termini la ricorrente sosteneva che la consapevolezza, da parte del ceto creditorio, dei pretesi atti di frode commessi dal debitore in data anteriore rispetto all’apertura della procedura concordataria, non possa determinare la revoca del concordato ex art. 173 L.F. se a detta conoscenza abbia comunque fatto seguito il voto favorevole dei creditori medesimi.
Nel risolvere la questione sottopostale, la Corte di Legittimità ha rilevato che i connotati di natura negoziale presenti nella disciplina del concordato non escludono “evidenti manifestazioni di riflessi pubblicistici”, che si concretano nell’esigenza di tutelare anche quei soggetti che non aderiscano alla proposta, ma che siano ugualmente interessati dagli effetti della sua approvazione.
Secondo la Corte tale effetto si ottiene non solo mediante la previsione di una serie di regole processuali inderogabili, finalizzate alla corretta formazione dell’accordo tra debitore e creditori, ma anche incrementando il potere di controllo e di garanzia da parte del Giudice.
Proprio in quest’ultimo ambito – prosegue la Corte – si colloca la possibilità di revoca dell’ammissione al concordato prevista dall’art. 173 L.F. in presenza degli atti di frode ivi descritti, che assumono rilevanza qualora realizzati dal debitore con dolo, consistente anche nella mera consapevolezza di aver taciuto, nella proposta, delle circostanze rilevanti ai fini dell’informazione dei creditori (Cass. Civile 10778/2014), i quali ne siano venuti a conoscenza solo a seguito dell’attività del Commissario Giudiziale.
Secondo la Cassazione “la fraudolenza degli atti posti in essere dal debitore, se implica, come già detto, una loro potenzialità decettiva nei riguardi dei creditori, non per questo assume rilievo, ai fini della revoca dell’ammissione al concordato, solo ove l’inganno dei creditori si sia effettivamente realizzato e si possa quindi dimostrare che, in concreto, i creditori medesimi hanno espresso il loro voto in base ad una falsa rappresentazione della realtà. Quel che rileva è il comportamento fraudolento del debitore, non l’effettiva consumazione della frode”.
A detta della Corte, la circostanza per cui il Legislatore ricolleghi alla scoperta degli atti di frode commessi dal debitore il potere-dovere del Giudice di revocare l’ammissione del concordato senza la necessità di alcuna presa di posizione da parte dei creditori sta a dimostrare che l’accertamento delle condotte fraudolente da parte del Commissario non può essere superato dal voto dei creditori stessi, nel frattempo venuti a conoscenza della frode, ma disposti ad approvare ugualmente la proposta concordataria.
La Corte ha quindi rigettato la tesi della ricorrente Alfa sulla considerazione che, se questa fosse fondata, il Legislatore avrebbe previsto la possibilità di dar comunque corso alla procedura, almeno fino all’adunanza dei creditori, così da consentirgli di esprimere il loro voto alla luce delle condotte fraudolente portate alla loro attenzione.
Il fatto che, viceversa, la norma non preveda tale possibilità ha portato la Corte a concludere che, con l’attuale formulazione dell’art. 173 L.F., il Legislatore abbia voluto precludere la possibilità per il debitore di avvalersi del concordato ogniqualvolta abbia dolosamente posto in essere le condotte previste dalla norma citata, le quali costituiscono un ostacolo obiettivo ed insuperabile allo svolgimento ulteriore della procedura.
Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha enunciato il principio di diritto per cui “l’accertamento, ad opera del commissario giudiziale, di atti di occultamento o di dissimulazione dell’attivo, della dolosa omissione della denuncia di uno o più crediti, dell’esposizione di passività insussistenti o della commissione di altri atti di frode da parte del debitore determina la revoca dell’ammissione al concordato, a norma della L. Fall., art. 173, indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza e quindi anche nell’ipotesi in cui i creditori medesimi siano stati resi edotti di quell’accertamento”.
Per maggiori approfondimenti sulle tematiche trattate, si rimanda al testo integrale della sentenza 26.06.2014 n. 14552 della Corte di Cassazione (http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/cri.php?id_cont=10684.php).