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Ancora in tema di pubblicità comparativa. Un esempio di comparazione illecita


Esaminiamo brevemente una fattispecie concreta che merita attenzione per la pluralità dei profili interessati, che riguardano non solo la liceità / illiceità della comparazione pubblicitaria, ma anche l’utilizzo abusivo del marchio altrui e la configurazione di atti di concorrenza sleale.

Il caso, sottoposto all’esame della Sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale di Milano, riguardava la controversia promossa dalla società Alfa (licenziataria esclusiva per l’Italia della catena di franchising “J.” ed attiva, tra l’altro, nel settore della vendita di numerosi prodotti coperti dall’omonimo marchio “J.”) nei confronti della società Beta, la quale aveva inoltrato ai numerosi negozi affiliati alla predetta catena di franchising J. una brochure pubblicitaria che, a detta dell’attrice, integrava contraffazione di marchio, concorrenza sleale parassitaria e per agganciamento, nonché violazione della normativa in materia di pubblicità comparativa.

Il testo del citato volantino, intestato “Negozi J. offerta monouso”, era il seguente: “Gentile cliente, la…(Beta, ndr) è un’azienda che tu conosci quasi sicuramente in quanto opera nel settore come importatore diretto di monouso: kimono-poncho-salviette.

Ti abbiamo sempre venduto un prodotto simile a quello da te acquistato direttamente alla casa madre, riservandoti dei prezzi sicuramente vantaggiosi e cercando di avvicinarci il più possibile agli standard di qualità del vostro prodotto originale.

Oggi siamo riusciti a fare di più, il prodotto che ti sottoponiamo è il medesimo da voi acquistato presso la vostra casa madre! L’unica differenza è l’assenza del marchio”.

Il volantino riportava altresì una tabella di raffronto tra i prezzi praticati dalla società reclamizzante e dalla casa madre, da cui si poteva evincere che la prima applicava un prezziario di molto inferiore rispetto alla seconda.

Il Tribunale di Milano ha riconosciuto l’illiceità della condotta della convenuta, per le ragioni che seguono.

a) la pubblicità comparativa posta in essere da Beta traeva indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio “J.” (art. 4 lett. g del D.Lgs. 145/2007)1.

Nelle modalità di pubblicizzazione del proprio prodotto (definito “simile a quello da te acquistato direttamente alla casa madre, riservandoti dei prezzi sicuramente vantaggiosi” edin seguito definito addirittura “il medesimo”), il collegio giudicante ha infatti ravvisato la volontà di Beta di avvantaggiarsi dalla notorietà acquisita dal marchio della concorrente, accreditando così i propri prodotti e sfruttando sia l’immagine, sia gli investimenti economici della controparte

b) la pubblicità comparativa realizzata da Beta presentava i prodotti offerti in vendita come imitazione di quelli protetti dal marchio “J.” (art. 4 lett. h del D.Lgs. 145/2007)2

Sul punto i giudici hanno infatti ritenuto che, con l’espressione riprodotta nel volantino (“Ti abbiamo sempre venduto un prodotto simile a quello da te acquistato direttamente alla casa madre, riservandoti dei prezzi sicuramente vantaggiosi…Oggi siamo riusciti a fare di più, il prodotto che ti sottoponiamo è il medesimo da voi acquistato presso la vostra casa madre! L’unica differenza è l’assenza del marchio”), la convenuta abbia presentato alla clientela i propri prodotti come imitazione del marchio della società attrice, in violazione di quanto previsto dal citato art. 4 lett. h del D.Lgs. 145/2007.

Nessun rilievo ha avuto l’eccezione sollevata dalla convenuta in ordine alla mancanza di confondibilità tra i prodotti, per la diversità delle loro caratteristiche.

Secondo il Tribunale infatti la mancanza del carattere confusorio non fa venir meno l’illiceità della pubblicità, poichè “il carattere confusorio del messaggio promozionale è una della condizioni che rende di per sé illecita la pubblicità comparativa e non è requisito necessario per integrare le altre fattispecie” in concreto ravvisate (si veda art. 4 lett. d del D.Lgs. 145/2007)3.

c) la condotta della convenuta integrava altresì concorrenza sleale ex art. 2598 comma 2 c.c.

L’organo giurisdizionale ha ritenuto che Beta abbia sfruttato la rinomanza dei beni di Alfa presentando i propri prodotti come simili e/o “medesimi”, approfittando così del credito di cui i primi godevano sul mercato (“Tale attività di concorrenza sleale, attuata mediante una pubblicità comparativa illecita, è caratterizzata dall’intento di agganciamento alla rinomanza dei prodotti altrui”).

Parimenti rigettata, poiché ritenuta irrilevante, è stata l’eccezione di Beta in ordine alla verità dei pregi dei propri prodotti, in quanto il Tribunale ha evidenziato che la slealtà dell’attività concorrenziale deriva “dall’essersi equiparati ad un concorrente più noto con intento parassitario, per l’approfittamento del frutto del lavoro altrui e dell’altrui investimento”.

d) la condotta di Beta costituiva infine utilizzo abusivo del marchio “J.”.

A detta del Tribunale, la convenuta ha infatti usato indebitamente detto marchio per promuovere i propri prodotti, tanto richiamandolo in forma esplicita nell’intestazione del volantino pubblicitario (“Negozi J. offerta monouso”), quanto facendone implicito riferimento nel suo testo, laddove si fa richiamo alla “casa madre” e laddove si presentano i prodotti sia come “medesimi” rispetto a quelli marchiati “J.”, sia come caratterizzati da elevati standard qualitativi.

Per maggiori approfondimenti, si rimanda al contenuto integrale della sentenza 27.06.2013 – 28.10.2013 del Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di Impresa (http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/9631.pdf).

1 Secondo tale norma la pubblicità comparativa è lecita qualora non tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale ovvero ad altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti.

2 Per detta disposizione la pubblicità comparativa è lecita qualora non presenti un bene o un servizio come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati.

3 La pubblicità comparativa è lecita qualora non ingeneri confusione sul mercato

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