Si dice comunemente che la pubblicità è l’anima del commercio.
Infatti le aziende e più in generale tutti coloro che intendono offrire i propri prodotti o le proprie prestazioni a terzi ricorrono alle più svariate forme di comunicazione pubblicitaria.
Ma è sempre possibile reclamizzare un bene, un’attività o un servizio? Vi sono dei limiti entro cui ogni forma di pubblicità deve rientrare?
Richiamato quanto già esposto dall’Avv. Marta Calore in tema di pubblicità ingannevole, si intende qui porre l’attenzione sulla cosiddetta pubblicità comparativa, che consiste nel promuovere i propri prodotti/servizi operando un confronto con quelli della concorrenza in termini tali da far emergere i pregi e le qualità dei primi.
Tale confronto può essere implicito (quando si paragoni un prodotto/servizio specifico ad uno generico) ovvero esplicito (allorchè il raffronto sia compiuto con il particolare prodotto/servizio di un determinato competitor, al fine di evidenziare le qualità superiori di quello che si intende reclamizzare).
In Italia la materia è disciplinata dal D.Lgs. 2.8.2007 n. 145, emanato in attuazione della Direttiva 2005/29/CE e della Direttiva 2006/114/CE (versione codificata), il quale stabilisce che la pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta, per poi specificare, in particolare, che la pubblicità comparativa è lecita solo se rispetti le seguenti condizioni:
a) non sia ingannevole (1);
b) confronti beni o servizi che soddisfino gli stessi bisogni o si propongano gli stessi obiettivi;
c) confronti oggettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative (compreso eventualmente il prezzo) di tali beni e servizi;
d) non ingeneri confusione sul mercato;
e) non causi discredito o denigrazione di marchi, denominazioni commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o posizione di un concorrente;
f) per i beni recanti denominazione di origine, si riferisca in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione;
g) non tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale ovvero ad altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti;
h) non presenti un bene o un servizio come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati.
La pubblicità comparativa non è quindi di per sé illecita, ma lo può diventare qualora non rispetti i criteri di cui sopra, integrando in tal caso un’ipotesi di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c., come tale fonte dell’obbligo di risarcire il danno arrecato alla parte lesa.
Sulla tematica in oggetto si segnala una recente pronuncia del Tribunale di Milano, chiamato a dirimere la controversia promossa dalla società Alfa, licenziataria per il mercato italiano dei riduttori epicicloidali “X” prodotti dalla casa madre tedesca, contro la società Beta ed il suo legale rappresentante Tizio, la quale commercializzava in Italia il riduttore epicicloidale “Y”, prodotto da una società giapponese concorrente di Alfa.
La ricorrente contestava alla società Beta di aver pubblicato sul proprio sito internet un filmato in cui si operava una comparazione – ritenuta scorretta perchè avente ad oggetto beni con asserite caratteristiche tecniche diverse – tra il suo riduttore “X” e quello commercializzato dalla società resistente.
Alfa evidenziava altresì che, nell’operare il raffronto tra detti prodotti, Beta aveva vantato la maggiore silenziosità del proprio riduttore “Y” in assenza di qualsivoglia riscontro tecnico-scientifico.
Tizio aveva poi rimosso il filmato dal sito web della società Beta, pubblicandolo sul sito YouTube, con ciò – a detta della ricorrente – perpetrando ed aggravando la condotta denigratoria posta in essere a proprio danno.
Nell’accogliere il ricorso, il Tribunale ha stabilito che nella fattispecie la comparazione operata sia per mezzo del filmato pubblicato su YouTube, sia tramite il catalogo on line di Beta non rispettava i requisiti richiesti dalla legge per considerare lecita tale pubblicità.
Se da un lato il Giudice ha infatti confermato che la pubblicità comparativa non è di per sé illecita, in quanto “consente al consumatore una migliore valutazione dei meriti di ciascun operatore, della qualità delle loro prestazioni e del loro costo e, quindi, una scelta più consapevole”, dall’altro ha riconosciuto che tale forma di pubblicità può determinare effetti distorsivi per la concorrenza qualora la comparazione risulti ingannevole ed illegittimamente attuata.
Su queste premesse, il Giudice ha accertato la finalità ingannevole della reclame posta in essere da Beta e dal suo legale rappresentante Tizio, poiché idonea ad indurre in errore i consumatori sulle caratteristiche dei beni prodotti dalla stessa società Beta, facendo credere che questi ultimi fossero più silenziosi di quelli della concorrente (il cui marchio era direttamente visibile sul filmato).
La statuizione si è fondata anche sulla circostanza per cui la resistente non ha fornito alcuna dimostrazione oggettiva dell’invocata maggiore silenziosità dei propri riduttori – con ciò omettendo di adempiere al proprio onere probatorio – che è stata peraltro ricavata operando il raffronto con il solo modello di fascia più bassa commercializzato dalla ricorrente.
Secondo il giudizio del Tribunale, l’illiceità è altresì integrata dal fatto che i beni comparati non avevano neppure le stesse caratteristiche tecniche, avuto riguardo agli elementi incidenti sulla rumorosità, oggetto del raffronto (il riduttore di Beta presentava infatti una dentatura elicoidale, mentre quello di Alfa era dotato di dentatura verticale).
Pertanto il Giudice ha riconosciuto che la pubblicità posta in essere da Beta costituisce atto di concorrenza sleale ai sensi degli art. 2598 n. 2 e n. 3 c.c. “sostanziandosi in affermazioni false circa qualità essenziali del prodotto, idonee a trarre in inganno i consumatori e altresì a gettare discredito sui prodotti dei concorrenti e specificamente della ricorrente, oggetto anche di confronto espresso nel filmato”.
Stante l’illiceità della condotta di Beta “perchè ingannevole ed inoltre effettuata tra beni non omogenei poiché dotati di caratteristiche essenziali diverse”, il Giudice ha accolto il ricorso promosso da Alfa e, per l’effetto ha, tra le altre:
a) inibito in via cautelare a Beta ed a Tizio la pubblicazione del video comparativo;
b) ordinato in via cautelare agli stessi la rimozione immediata dal sito internet della resistente della possibilità di visualizzare la pubblicità contenuta nel catalogo on line;
c) fissato una penale per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento e per ogni violazione dello stesso successivamente accertata.
Per maggiori approfondimenti, si rimanda al contenuto integrale dell’ordinanza 3.5.2013 del Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di Impresa (http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/9572.pdf ).
(1) Secondo il citato Decreto Legislativo la pubblicità è ingannevole quando “in qualunque modo, compresa la sua presentazione, è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente”